Domande x la Quaresima
Cosa fare di questi 40 giorni che ci separano dalla Pasqua?
Lasciare che passino quasi come una coda del carnevale, o prendere sul serio l’invito alla conversione, a cui questo tempo in particolare ci richiama?
Se vogliamo, possiamo tenerci la maschera che spesso mettiamo anche con Dio, per mostrargli che, tutto sommato, siamo dei bravi cristiani. Se invece siamo alla ricerca di un senso e di una pienezza di vita, possiamo accogliere la Quaresima come un tempo favorevole per iniziare un cammino di rinnovamento, che lasci più spazio all’ascolto della parola di Dio e alla ricerca di uno stile sobrio e amorevole verso i fratelli, in particolare i poveri e gli ultimi.
Prendendo spunto da un brano della Genesi, il card. Carlo Maria Martini dà alcune utili dritte per chi vuole mettersi in gioco.
Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: «Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto».
Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo»” (Gen 28, 10-16) .
La nostra esistenza ha delle coordinate invisibili ma sommamente reali. Perché, secondo quanto diceva il racconto del Piccolo principe, le cose invisibili si vedono col cuore e però sono quelle che contano.
Possiamo riprendere le tre coordinate espresse nel brano di Giacobbe: la Provvidenza come sfondo generale; la Parola; la Promessa.
– Come mi situo di fronte alla Provvidenza, ossia quale senso di Dio ho nella mia vita? È presente, mi conforta, mi sostiene la coscienza che Dio ha cura di me oppure è assente, è oscurata dalla prova, dalla tentazione di ateismo, di incredulità, di fuga? Tutte queste diverse prove per le quali passiamo non sono solo realtà negative, ma costituiscono anche la dinamicità delle nostre relazioni invisibili.
– Quale senso della Parola ho? In particolare, come mi pongo di fronte alla rivelazione vivente che è Gesù Cristo e di fronte alla rivelazione scritta che è la Bibbia, che sono i Vangeli?
Sono forse come Giacobbe che deve ammettere: veramente attorno a me c’era la parola di Dio e io non lo sapevo, perché per me contava poco? Oppure mi fido della Parola, ma con momenti di fatica e di oscurità?
– La parola di Dio è promessa, è promessa anche per me, che si traduce nella formula: Io sarò con te, io sono con te.
Dio non è soltanto il Dio di mio padre, della mia gente, della mia stirpe, della mia tradizione, della mia cultura, della mia Chiesa diocesana, ma è il Dio per me e con me.
Attualizzare in noi la parola di Dio come promessa è fondamentalissimo per ogni scelta di vita, fosse pure la più difficile; mentre l’istintiva paura, angoscia che provo di fronte a certe scelte indica la mancanza del senso della divina promessa.