L’esperienza con sorella malattia
Nei sette anni trascorsi dalla diagnosi di tumore al pancreas ci sono state tre parole che mi hanno sostenuto e dato luce: le condivido col desiderio che possano essere d’aiuto a chi si trova a vivere un’esperienza simile.
La prima parola è speranza. Il poeta Charles Peguy dice che «la speranza è una bambina che vede quel che non è ancora e che sarà… Sulla strada in salita. La piccola speranza avanza». Di salite in questo tempo ne ho affrontate più di una, ma la speranza mi ha aiutato a vedere al di là del momento difficile, dandomi la forza e la pace di proseguire, sostenuta anche dal dono della fede, che è la sorella maggiore della speranza, come dice Peguy.
La seconda parola è fiducia. Il percorso di cura è soggetto a tante variabili, perché la medicina non è una scienza esatta: ne ho sempre avuto la consapevolezza, come pure del fatto che i medici sono uomini che possono sbagliare. Non ho mai avuto la pretesa di trovare medici infallibili, quanto piuttosto persone che ispirano fiducia, non solo e non tanto per la loro bravura, ma anche per il tratto umano, perché il malato non è la sua malattia, ma molto di più. I medici che ho incontrato all’ospedale di Rimini sono stati splendidi professionalmente e umanamente, e ciò ha permesso di riconoscere in tempi brevi una malattia subdola come questa, nonostante che l’esordio sia stato del tutto imprevedibile e asintomatico. Il percorso, che ha richiesto un intervento molto impegnativo e alcuni cicli di chemioterapia, non è stato rose e fiori, però mi ha aiutato il fatto di non aver camminato da sola, ma con la vicinanza e il supporto della mia comunità, della mia famiglia e degli amici. E questo è un supporto preziosissimo alla speranza e alla fiducia.
La terza parola è impegno. Sono da sempre una sportiva e mi piace pensare alla vita come un cammino, per il quale è imprescindibile l’impegno, tanto più quando si affrontano tratti in salita. Sottolineo due impegni in particolare.
Il primo è quello della prevenzione, che richiede l’attenzione di leggere i segni che il corpo ci dà e sottoporsi ai controlli necessari: il che non implica vivere con il sospetto, ma con una giusta premura sì, anche per quanto riguarda l’aspetto dell’alimentazione.
L’altro impegno riguarda l’equilibrio fisico, psicologico e spirituale, che, quando si passa attraverso interventi e cure impegnativi, va reintegrato e custodito, attraverso un continuo “allenamento”. Mi ha aiutato darmi degli obiettivi sotto tutti i punti di vista, come per esempio quello di tornare a correre e, pian piano, ci sono riuscita. Un grande supporto che ho avuto nel ricupero è stato quello della preghiera. Può sembrare una considerazione da suora, ma non lo è: anche un premio Nobel per la medicina, Alexis Carrel, nei primi del ‘900 ha parlato dell’importanza della preghiera nella cura, asserendo che: «L’influenza della preghiera sullo spirito e sul corpo è dimostrabile quanto la secrezione ghiandolare. Come medico ho visto uomini uscire dalla malattia e dalla depressione attraverso lo sforzo sereno della preghiera quando ogni medicina aveva fallito… La preghiera è un atto di maturità indispensabile per il completo sviluppo della personalità, l’ultima integrazione delle facoltà più intime dell’uomo. È solo pregando che noi raggiungiamo l’unità completa e armoniosa del corpo, dell’intelligenza e dell’anima, che conferisce alla struttura dell’uomo la forza». Lo tocco con mano ogni giorno, e posso dire che la preghiera e l’attività fisica quotidiana costituiscono, insieme agli enzimi pancreatici, le mie sole “terapie”.
Il mio percorso di cure è terminato con la guarigione, e di questo ringrazio il Signore e quanti in vario modo mi sono stati vicini e mi hanno aiutato. Ora ancor di più sento l’impegno di supportare con la preghiera, insieme alle sorelle, quanti sono malati, perché in loro non si spengano mai la speranza, la fiducia e l’impegno.