La letizia della Croce
“Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23)
La croce costituisce il nucleo centrale del cammino di fede di Francesco e Chiara.
Francesco, che aveva trovato nel Crocifisso di San Damiano il senso della sua vocazione al servizio della Chiesa, alla Verna implorò il dono di provare il dolore e l’amore del Cristo nella sua passione, ricevendo come risposta – primo nella storia – il sigillo delle Stimmate, divenendo così il “crocifisso della Verna”, uomo fatto Croce lui stesso.
Per Chiara la crocifissione e morte di Gesù furono lo ‘specchio’ continuamente contemplato e amato con tutte le fibre del cuore, tanto da essere definita “l’amante appassionata del Crocifisso povero”. Vivendo immersa in questa visione profonda e credente della povertà salvifica di Gesù, fu così devota discepola della croce, da compiere numerosi guarigioni proprio attraverso questo segno.
Entrambi condussero una vita completamente immersa nella logica della croce, eppure, anzi proprio per questo, sperimentarono la vera gioia e sostennero ogni fatica ed avversità pazientemente e con allegrezza per amore del Signore, come testimonia il fioretto della perfetta letizia (FF 1836).
Non è facile capire come sia possibile ciò, perché per noi croce è sinonimo di rinuncia e di ascesi, due parole difficili e impopolari, di cui si sente e si vuole poco parlare. La croce non è mai stata di moda e lo è tanto meno per noi, circondati come siamo da tante comodità, e sollecitati per di più a sperimentare sempre nuove facilità e piaceri del vivere.
Una volta non ci si riusciva a difendere del tutto dal troppo caldo o dal troppo freddo, il lavoro era sinonimo di fatica, e gli spostamenti da un luogo all’altro richiedevano ore e ore di viaggi faticosi. Oggi, invece, la tecnologia sembra ridurre ogni gesto, ogni azione, ogni impegno al premere di un pulsante; per cui basta un semplice ‘clic’ per raggiungere i propri obiettivi, evitando il più possibile sforzo e fatica. Forse anche per questo un Dio che parla di croce e di rinnegare se stessi non può affascinare i cuori di tanti, che pensano ad una vita in cui è possibile tutto ciò che si vuole: “immagina, puoi…”, come dice una famosa pubblicità.
Eppure, la testimonianza di Francesco e Chiara e di tanti santi ci parla di tutt’altro: una vita povera, ma lieta, priva di tutto, eppure infinitamente ricca, perché spesa nella ricerca del “vero e sommo Bene” (FF 70); una vita che considera un privilegio il non avere proprietà, per guardare a Dio con occhi e cuore liberi. Abbracciare la croce per loro non ha voluto dire amare la sofferenza, né anestetizzarla attraverso un vuoto spiritualismo, bensì sperimentare pienamente che il Signore, non vuole sostituirsi alla nostra azione e toglierci dalle responsabilità, ma dà forza a chi è stanco, sfiduciato, deluso.
Il suo amore, infatti, non chiede, ma si offre, non schiaccia, ma solleva, non pretende, ma attende. Ci propone un incontro, un abbraccio: l’abbraccio felice di chi spende la propria vita nella gioia di amare e di essere amati, con la consapevolezza della caducità del momento presente e dell’eternità di Dio.
Solo in questo abbraccio potremo capire che la consolazione della fede sta nella risposta d’amore a un Dio crocifisso che si è donato tutto per amore.