Omelia mons. Mansueto Bianchi, S. Messa 5 ottobre 2014

Grazie!

  Sorelle e fratelli miei, carissimo fratello Vescovo Francesco, grazie per il dono di questo incontro, di questa sosta nella Chiesa di S. Agostino, qui presso la tomba del beato Alberto Marvelli.
Insieme celebriamo il memoriale della Pasqua del Signore, in questa domenica, giorno che nel ciclo settenario del tempo, narra la memoria e ridesta l’attesa del giorno ottavo!           […]

 Il Santo chi è? – Il sorriso di Dio

  Sorelle e fratelli miei, il santo chi è? Qualcuno penserà ad una vita di noia, da sbadiglio; invece il santo è uno scroscio, un’esplosione di vita. Qualcuno penserà ad un orizzonte opaco e grigio, invece il santo è un raggio di sole, uno spicchio di cielo; qualcuno penserà ad una “faccia scura” ed invece il santo è il sorriso di Dio. È così che io ho conosciuto e incontrato la figura di Alberto Marvelli, mentre mi preparavo a questo incontro con voi.

 Due frammenti: gli occhi e la bicicletta

  Ci sono due frammenti che mi sono rimasti nella memoria e nel cuore leggendo la sua vita e che stasera mi appaiono come un alfabeto per sillabare la pagina bella della sua esistenza: sono gli occhi e la bicicletta. Li ho colti nel racconto dei testimoni, mi sono accorto che mi colpivano come di riflesso, perché prima di me avevano colpito chi lo avrebbe incontrato e conosciuto.

 Gli occhi

  Gli occhi prima di tutto. Depone don Luigi Pasini che lo incontra in un momento tragico: “Mi guardò con quei suoi occhi lucenti di grazia e di bontà, occhi che non dimenticherò mai” e la testimone Masini parla di “quel luminoso sorriso degli occhi penetranti”.
Ecco il primo frammento: gli occhi che sorridono, il sorriso negli occhi!

 messa marvelli_4Cari amici, gli occhi sono l’esponenza del cuore, sono la visibilità dell’invisibile, che abita e si vela dentro di noi. Chi ha incontrato, chi ha conosciuto Alberto Marvelli coralmente ci testimonia il significato, la valenza simbolica di quello sguardo: esso veicolava l’anima e l’interlocutore si sentiva raggiunto nella sua desolazione, avvolto nell’abbraccio dell’accoglienza, confortato nello sgomento, curato nelle ferite.

  Guardate, non sto dicendo melensaggini: basterebbe ripercorrere i vangeli seguendo il “filo rosso” dello sguardo di Gesù; lo sguardo rivolto alla peccatrice che gli trascinano dinanzi; lo sguardo con cui fissa il giovane ricco proponendogli la via del discepolato; lo sguardo con cui Lui, nostro Samaritano, guarda l’uomo ferito lungo la strada; lo sguardo che rivolge a Pietro nell’ultima notte dopo che questi per tre volte lo ha rinnegato e che scioglie il suo pianto; lo sguardo con cui dalla croce vede la Madre ed il discepolo amato, figura della Chiesa e di ogni credente.

    Gli occhi di Alberto Marvelli seguivano le persone, raggiungendo l’anima perché quello sguardo veniva da lontano. Solo chi sa guardare oltre è capace di vedere dentro, solo chi si è lasciato lungamente guardare è capace di vedere. Il suo sguardo si era formato, affinato nel quotidiano contatto con la Parola e nella partecipazione e contemplazione dell’Eucarestia: il Signore gli aveva aperto gli occhi, come al cieco nato, aveva messo negli occhi di Alberto lo sguardo di Dio. Era un giovane che sapeva guardare Dio e perciò vedeva il mondo con gli occhi di Dio.

  Siamo qui nel cuore di un’autentica esperienza mistica che Alberto ha vissuto e che è la sorgività della sua cristiana avventura, il numero primo dell’intera sua vicenda. Egli scrive: «Lo guardo e Gesù mi parla, Gesù mi mostra i suoi dolori e le sue gioie… Io lo guardo ed ecco che vedo Gesù… E lo sguardo. Tutto sparisce intorno, rimane Gesù, luce radiosa che entra nell’anima… mi fa scorrere brividi d’infinito». Ecco perché i suoi occhi divengono un simbolo, una cifra per comprendere, decifrare la sua vita.

  Lo sguardo di Alberto ha percorso la città di Rimini, una città martire, devastata dalla guerra, ed ha cercato soprattutto e riconosciuto i poveri, i disperati, i piagati nel corpo e nello spirito. Accade sempre così ai Santi: essi raccolgono e prolungano lo sguardo di Dio e Dio intercetta la vita dei piccoli, ode il loro gemito, piange del loro pianto e danza della loro gioia, perché Dio è piccolo e rimane in mezzo a noi come colui che serve.
Racconta una testimone: “Una mattina da Vergiano dove eravamo sfollati sono venuta a Rimini, all’Ufficio alloggi… Passato mezzogiorno un usciere dice: ‘Si chiude, tornate domani’. Ero disperata… mi misi a piangere. Ma Marvelli dall’Ufficio disse: ‘Perché chiudete? Non va via nessuno, ricevo tutti’. Dopo uscì dall’Ufficio, mi vide – notate: mi vide! – mi venne incontro e mi disse: ‘perché piangi?’ e mi fece una carezza”.

messa marvelli_1  Il Santo ci insegna che Dio non guarda dall’alto ma guarda ciascuno, fraternamente, negli occhi e nel cuore per amare, certo, chi più se lo merita, ma per amare altrettanto, con passione e tenerezza, chi più ne ha bisogno, perché segnato da povertà materiali e morali e non ha alcun merito per essere amato, ne ha solo un disperato bisogno.
Se questa è la strada di Dio, la Chiesa non può averne un’altra. Ecco la Chiesa impastata di misericordia, la Chiesa “ospedale da campo”, la Chiesa “in uscita” che papa Francesco sta raccontando.
C’è un ultimo tratto di quegli occhi che mi intriga e mi fa pensare: dicono i testimoni che erano occhi che sorridevano. Erano occhi felici. Ancora una volta veicolavano l’anima, testimoniavano il cuore. Gli occhi felici! Quanto ne avremmo bisogno oggi di due occhi così. Attraversavano una città crocifissa, vivevano una stagione drammatica, essi stessi avevano pianto per dolori, solitudini e fatiche, che avevano segnato la vita di Alberto, eppure quegli occhi sorridevano, felici.
È lo sguardo del piccolo, è la gioia del povero, è quel sorriso che è racchiuso, come in uno scrigno, dentro la parola “evangelo”: un annuncio, un messaggio che scatena la gioia.
Dicevo all’inizio che il santo è uno sprazzo di cielo, il sorriso di Dio, ed in questi occhi che ridono, felici, s’intende che il Paradiso si è spogliato di gloria e di trionfo, si è avvolto nei poveri panni di un giovane in bicicletta, ed ha raggiunto l’inferno di una città distrutta dalla guerra, per avviare nuovamente il cammino della ricostruzione e della speranza.

La bicicletta

  Il secondo frammento di cui vi parlavo è, appunto, la bicicletta. Lo ricorda così una testimone: “Lo rivedo ancora: la bicicletta dal manubrio arrugginito, dalle gomme piene, col suo aspetto serio e sorridente. Teneva un piede sul pedale ed uno posato a terra, mentre mi offriva una bottiglia di latte…”. Ed ancora don Alfonso Rossi ricorda un bombardamento che distrusse casa, chiesa, campanile e l’abitazione delle suore, ed aggiunge “appena terminato il bombardamento, apparve Alberto in bicicletta…”.

  Capita spesso, nella vita dei Santi, che ci sia un oggetto particolare, quasi uno strumento e un testimone privilegiato della loro santità e del loro servizio. Ecco, anche la bicicletta, compagna inseparabile di viaggi nei luoghi più diversi, mi pare un simbolo, una cifra per comprendere la vita di Alberto Marvelli. È il simbolo del suo viaggio nella vita, testimone e compagna del suo cammino verso la santità. E quello di Alberto fu, stupendamente, un cammino di laico, una santità laicale. Ne fa da contrappunto proprio la bicicletta che, al tempo, era sconsigliata o addirittura proibita al clero in certe diocesi.

  Un viaggio in bicicletta è certamente il viaggio di un laico, di una vita nel mondo, una santità laicale. E la santità laicale è questa: vivere nel mondo, con il mondo, la propria appartenenza al Signore. Un cristiano laico, se così mi posso esprimere, è un menestrello che canta la canzone del vangelo sullo spartito della vita quotidiana e mostra, con i fatti, con il realismo della sua esistenza, come la gioia, la fatica ed il pianto possano diventare un canto, perché il Vangelo e la Pasqua del Signore hanno la forza di trasfigurar5 ottobre mons Lambiasi e Bianchie la comune realtà, hanno le forze di umanizzare la vita.

  Il viaggio di Alberto, la sua bicicletta, ha percorso una geografia caratteristicamente laicale: la famiglia, la scuola (come alunno e come insegnante), l’università, la parrocchia, l’associazione (AC e FUCI), l’esercito per il servizio militare, la fabbrica, la professione, l’impegno politico, l’amministrazione della città. In questo, l’avventura cristiana di Alberto profetizza ed anticipa una pagina che il Concilio scriverà al capitolo V della Lumen Gentium parlando della universale vocazione alla santità nella Chiesa. In lui si riconosce un modello nuovo di cristianesimo compiuto, realizzato, di santo, fino all’esperienza spirituale più alta ed intensa, quella mistica, che non ha divisa religiosa, né veste da prete o da frate; è, diremo oggi, una santità in jeans, una santità feriale, sulla strada: una santità in bicicletta, appunto. È la santità laicale che sta avendo ed avrà la sua forza ed il suo luogo tipico in questo finire del secondo ed iniziare del terzo Millennio. È la santità della gente comune, la santità nei capillari della vita.

  Il cammino in bicicletta di Alberto Marvelli affronta così la traversata della città di Rimini, divenuta tragica icona della vita dei suoi cittadini. Si tratta certamente di ricostruire la città come casa, come edifici, istituzioni, relazioni, ma si tratta anche di ricostruire le case come simbolo della vita personale, della interiorità delle persone, anch’essa non meno sbriciolata dall’odio e dallo sgomento di quanto non fosse la città esterna.

  Alberto spinge su due pedali: il primo, ricostruire la città come casa di relazioni e di amicizia civile, spendendosi per la riconciliazione tra persone e fazioni  e chiamando sempre al riconoscimento ed al rispetto della dignità delle persone, soprattutto dei poveri. In questo modo egli mostra quasi una connaturalità tra cristianesimo e democrazia e fa vedere quanto la fede sia amica della storia, alleata dell’uomo e del suo sociale organizzarsi attorno al bene comune.

  L’altro pedale su cui Alberto spinge nel suo cammino è l’impegno educativo, la formazione di coscienze civili e credenti. Accogliendo la grande istanza educativa dell’AC, non meno che la pedagogia salesiana, egli si fa attivatore, sostenitore, animatore di tutto un reticolato educativo, negli ambiti più diversi, che mira a ritessere la tela solida della convivenza civile e della comunità cristiana, ma partendo dalla coscienza, dall’interiorità delle persone.

  E mentre da laico, sulla sua laicissima bicicletta, andava a compiere un servizio di formazione civile e politica a San Giuliano a Mare, un camion militare, a folle velocità, lo urta e lo uccide. È morto così, pedalando. In Paradiso c’è arrivato in bicicletta.

Dio è passato in mezzo a voi e vi ha sorriso 

Sorelle e fratmessa marvelli_5elli miei, caro  vescovo Francesco, quei due frammenti di vita, gli occhi che ridono e la bicicletta, sono il simbolo di una esistenza, l’aureola di una santità, ma sono anche l’appello e la vocazione che Alberto, morendo, ha trasmesso alla sua Chiesa di Rimini, come il mantello di Elia: una vocazione ed un affidamento che voi raccogliete. 

  Ecco, io dico che con quegli occhi che ridevano, Dio vi ha guardato, quel sorriso era l’estasi di Dio, della Trinità, dinanzi a voi, dinanzi alla sua Chiesa, dinanzi ai poveri, i suoi figli più amati. Su quella bicicletta Dio ha compiuto il suo Esodo incontro a voi, perché la vostra strada diventasse un Emmaus.

  Alberto Marvelli significa questo: Dio è passato in bicicletta sulle strade di Rimini, per seminare la Pasqua in una città crocifissa; Dio è passato in mezzo a voi, vi ha guardato e vi ha sorriso.

                      + Mansueto Bianchi

(Assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana)